E veniamo alla serata del 3 novembre, sempre al Teatro ai Colli di Padova, durante la quale il Festival di Danza “Lasciateci Sognare” ha ospitato la pirandelliana creazione della compagnia Bi.Corporis “Parliamone domani” e la tragica casadeiana “Butterfly_Colori Proibiti” di Artemis Danza.

Una serata ricca di necessità, condivisione, trasmissione di pensieri ed emozioni: quasi a rendere la comunicazione il focus principale dei fini coreografici di questi meravigliosi artisti.

“Parliamone Domani” è stata una vera e propria presa di posizione a favore di una vita coerente alle esigenze umane, a ritmi di vita equilibrati, distribuiti in maniera bilanciata tra doveri e piaceri quotidiani, impegni e tempo libero, lavoro e relazioni affettive. 

L’intera creazione coreografica è stata centrata sulla precisa suddivisione del tempo e dello spazio: una insistente geometria che ha immediatamente concretizzato un attuale modus operandi, una contemporanea necessità di organizzare la vita seguendo un ritmo frenetico. Lo stesso ritmo che finisce per scandire i nostri giorni in azioni standardizzate, ben definite nei dettagli; persino il tempo libero, gli incontri, le serate con gli amici, le chiacchiere in famiglia diventano parte integrante di questa infinita lista quotidiana di impegni, dei quali si deve ben badare a non perdere il controllo mentale, per non essere sopraffatti da una cascata di obblighi che cominciano paurosamente e imponentemente ad accavallarsi uno dopo l’altro sopra la nostra esistenza. 

E in tutto questo: dove finisce il NOI? Dove sono gli scambi di emozioni condivise, dove si trova lo spazio e il tempo per comprendersi reciprocamente? Come se in questa lista quotidiana di cose che diligentemente facciamo PER NOI non ci fosse lo spazio per IL NOI!  Ecco così che i movimenti e le traiettorie dei due protagonisti sul palco sono riusciti a essere comprensibilmente esplicativi in tal senso; la ritmicità della vita resa in modo didascalicamente chiaro dalla musica che ha accompagnato i danzatori, le loro direzioni obbligate nello spazio nelle quali incontri improvvisi non hanno potuto e non dovevano intaccare l’organizzazione quotidiana del da farsi, si sono dimostrati essere un ben riuscito tentativo di lavoro sul significato del comprendersi, sull’importanza del lasciare tempo alla comunicazione e all’ascolto, a quella unica e vera azione che ci contraddistingue come esseri umani: la costruzione delle relazione.

Una prova davvero ben riuscita.
 

E poi arriva “Butterfly – Colori Proibiti”, che nel suo tentativo di comunicazione al pubblico ha cercato di trasmettere il tragico dramma interiore di un adolescente, Cio-Cio-San, che, alla fine del suo interminabile viaggio alla ricerca dell’onore e della verità, decide di togliersi la vita. 

Come spiega la coreografa prima dell’inizio della performance, lo spettacolo non è l’opera ma la sua rappresentazione in chiave coreografica: è la danza dell’anima di Cio-Cio-San, è la ricerca di espressione di ciò che succede nell’animo di un adolescente nell’attimo immediatamente precedente all’atto di compiere seppuku, il tradizionale rito giapponese per il suicidio come mezzo per salvare il proprio onore. Sono le sue emozioni, il flusso della sua coscienza a essere esibito lassù, in quella presenza aerea quasi eterea che vede la protagonista sospesa in una danza al disopra e al centro della scena. È il suo dramma interiore, la solitudine, la lunga, eterna e malinconica attesa di una conferma di certezze che sembrano non arrivare mai: certezze che si dimostreranno, alla fine del suo lungo e interminale viaggio, essere cedevoli e prive di fondamento. 

Cio-Cio-San: vestita di abiti tradizionali giapponesi, sospesa al centro della scena, ad arti scoperti a disegnare strazianti figure di donne oscurate da bui pensieri di morte. Tutto ciò, per gli intenditori di settore, può forse anche considerarsi un lontano richiamo a forme artistiche tradizionali, all’arte dell’hojojutsu come rappresentazione del senso di prigioniera aderenza alla fede nell’amato e nel suo tanto desiderato ritorno. Di certo, il movimento di arti che si riscoprono nudi nella danza aerea di Cio-Cio-San ritornano allo spettatore un sottile effetto Araki, stimolando nelle fantasie degli spettatori immagini che si allontanano delicatamente dall’idea di purezza, contrapposta invece all’originale installazione di Delio Gennari, l’autore dei caratteristici intarsi di carta che occupano la scena. Essi si mostrano librati nell’aria, leggeri, sensibili ai moti sia fisici che interiori dei rispettivi spazi scenici: lo spazio eterno e impalpabile di Cio-Cio-San, e quello fisico e tangibile dei dodici danzatori nel palcoscenico sottostante. È qui infatti che si parla di crudità, di senso di tensione alla pazzia, di disagio, di straziante dolore fisico, di carni e ossa concrete, che vivono, soffrono e vogliono rappresentare il grido di dolore della protagonista. 

Quello stesso, forte e deciso, che la porterà alla sua definitiva presa di coraggio verso Jigai, la forma di seppuku al femminile, che sola le permetterà di preservare il proprio onore. 

Danza, tantissima danza sul palcoscenico: corpi ben formati, tecnicamente studiati, bellissimi nella loro esecuzione e interpretazione. Disegno luci coerente ed enfatizzante le note tragiche dell’opera. Eleganza e forza espressione di grandi lavori.

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