Per raccontare di questo spettacolo, partirò da un punto di vista che non è quello esterno dello spettatore. Racconterò di questa sentita e sofferta esperienza presentandovi il punto di vista di chi ha vissuto sulla pelle questo stesso spettacolo, danzando in scena, cercando di interpretare la visione di un mondo freddo, superficiale, nel quale si vive meramente o si muore vivendo.

Perché “Woe From Wit” è la rappresentazione di questo mondo, o per lo meno del mondo agli occhi di Sona Hovsepyan, una donna ed un artista meravigliosa, dalla grande sensibilità e dalla sottile raffinatezza.

“Woe From Wit” è il titolo di una commedia di un grande scrittore russo, A. S. Griboedov, che racconta dello scontro tra due visioni del mondo: il vecchio, feudale buracrotico (del secolo scorso) e il nuovo, borghese-raznochinsky, nato nelle menti dei futuri decabristi dopo la vittoria della Russia su Napoleone. Entrambe incapaci di armonizzati tra loro, di trovare un comune accordo, un armonioso equilibrio di ruoli ed esistenze all’interno della società moderna. 

Il punto di partenza per la coreografia di Sona Hovsepyan è proprio questa frattura tra il vecchio e il nuovo; il suo pezzo racconta del dolore e della sofferenza, del senso di scomodità che si prova a vivere in un mondo senza armonia, raccontando perciò automaticamente di attuali problematiche sociali: dell’insistente confronto tra stratificazioni sociali (nell’opera letteraria la potente forza aristocratica delle vecchie generazioni che non vogliono abbandonare la scena per lasciare spazio alle nuove generazioni di giovani motivati e sprizzanti di energia rinnovatrice) e della potenza che il gigante magnate può manifestare nell’attimo in cui si sente minacciato da nuovi e giovani venti riformatori. “Woe from Wit” racconta forse anche della precaria forza di questi nuovi spiriti, che spesso si lasciano sopraffare da imminenti fatiche e accettano di conformarsi alla regola, agli standards sociali, abbandonando i propri ideali e valori piuttosto che battersi per essi. Un inno alla forza e alla capacità di sottrarsi alla forza d’inerzia delle convenzioni, dei luoghi comuni, dell’ “è così perché è sempre stato così”. 

Perché, per la maggior parte, è questo che accade nella società, è questo ciò che si racconta nella coreografia di “Woe From Wit”: l’ignoranza dilaga, e più si vive nell’ignoranza più si diventa coordinabili. Andare controcorrente significa mettersi contro la società, avere il coraggio di servirsi della propria intelligenza significa ritrovarsi soli, sbracciando per non annegare travolti dalla forza dirompente del fiume sociale, incanalato abilmente da menti ingannevoli. Le persone vere sono destinate ad essere sole e per sopravvivere, per non rimanere soli, si deve per forza omolagarsi, si è costretti a farlo pur di sopravvivere. Ma tutto questo, appunto, significa lasciare ciò che più caratterizza un uomo e lo fa essere quello che è. 

Insomma, al tirar delle somme? In ogni caso, in un modo o nell’altro, si è destinati a soccombere. 

 E allora per Sona è il cuore a decidere, è l’emozione a far sopravvivere e a dire chi si è veramente, a districare la matassa, a far luce in questo intrigo e a rendersi coscienti che non si può vivere così, ricoperti dalla falsità e dal finto perbenismo. 

Chi è attento, chi è pronto ad ascoltare e ad ascoltarsi, l’intelligenza che decide di essere colta può approdare alla vera libertà, quella che non ha prezzo. 

Tutto questo ovviamente È sempre pura sofferenza, si È comunque obbligati a rimanere soli, incompresi da una società che non vuole e soprattutto non può accettare e capire. 

Tutto questo provoca COMUNQUE dolore. E si cerca, si cerca sempre qualcuno che comprenda e condivida, ed è una ricerca assennata, una corsa infinita, alcuni momenti di esitazione, di trepidio e poi nuovamente si scatta, si corre, si cerca.. Si soffre.. Ma al contempo si vive. Si esce dal fiume incanalato e ci si ritrova lì vivi, presenti con il proprio essere, le proprie verità, la propria unica e meravigliosa esistenza.. Vivi, in un mondo che se ti permette ciò, ti porta altrettanto automaticamente all’ideale suicidio. 

 

“Chissà se fosse meglio vivere nell’infelicita dell’incomprensione e dell’ ignoranza? Di certo è che essere educati e colti è un alto grado di autocoscienza. 

Stiamo parlando di persone che vivono nel disagio in questo mondo moderno, della complessità dell’esistenza umana, è questo che voglio vedere: voglio vedere il vostro dolore”. 

Sona Hovsepyan

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